Prima Parte: Così tante minchiate da scrivere, così poco tempo... - Prima Parte
Ivan
Esco con dispiacere dalla caffetteria dopo aver pagato il mio pusher e mi preparo psicologicamente al quarto d’ora di passeggiata volta a raggiungere la facoltà. Visto che sono lì, rollo una sigaretta su uno dei tavolini del bar usando il mio fidato Drum bruno.
A causa della fretta durante l’atto della sua creazione, la forma della mia opera d’arte assomiglia in modo sorprendente alla silhouette di una donna al settimo mese della gravidanza…ma che importa? Polvere alla polvere, cenere alla cenere. Dopo un’occhiata poco convinta al frutto del mio impegno seguita da un’imprecazione interiore, mi metto in marcia, pregustando le due ore di lezione di “Psicopatologia del Linguaggio”.
Messina…che città accogliente. Appena sceso dall’aliscafo ti senti come a casa: il pungente odore di piscio di barbone misto a naftalene nei dintorni dell’edificio che ospita il mercato ittico ne sa qualcosa. Gli autisti di questa città sono delle persone deliziose…o che almeno ci provano. Persone che provano a far parte del cambiamento. In qualsiasi altra parte del mondo, la macchina la porti solo se sai guidare; qui al sud, invece, impari guidando. Anche se la tua età cerebrale e il tuo controllo potrebbero perdere colpi di fronte a quelle di un bambino di 9 anni. Concetti stravolti da questo palpabile cambiamento sono ad esempio quelli dei semafori e dei pedoni. Per non parlare dei clacson…oh, i clacson.
Può, dico io, esistere qualcosa che eguagli il piacere fisico e spirituale provocato dall’ascolto di quella sinfonia, quella grandiosa orchestra diretta nientemeno che da una volontà superiore a noi mortali e che contagia chiunque abbia un segnalatore acustico a portata di braccio? Bella domanda, dico io.
Quando raggiungo questo piacere dico anche altro, io.
Mi godo la scena degli automobilisti che parlano il vero linguaggio universale utilizzando gesti e parti del corpo per farsi capire meglio…tutte immagini percepite a rallentatore dal mio cervello per l’effetto misto di dopamina, caffeina e tante altre belle sostanze.
Mancava ancora qualche minuto alla destinazione quando sentii il cellulare riprodurre la versione di Jailhouse Rock dei Blues Brothers vibrando dalla tasca dei jeans. Tiro fuori il telefonino e guardo il display: Maria. Premo il tasto per accettare la chiamata mentre proseguo sul marciapiede.
« Ehy, Maria. »
« Dove sei? Io sono qui con Marco, se vuoi ci vediam-»
« Tranquilli, ormai sono quasi arrivato. Ah, Maria… »
« Che c’è? »
« Poi devo chiedervi una cosa. »
Attacco senza salutare e continuo a camminare. Taglio passando da Villa Mazzini e, finalmente, arrivo in facoltà. Nella mia testa l’immagine dei manichini all’ingresso del parco fatica ad andarsene. Erano vestiti come dei rappresentanti di un Gay Pride che avevano approfittato degli sconti al negozio Ovviesse.
Arte moderna.
Antonino
Dopo due ore, uscii dalle aule della facoltà.
Erano le 13:00.
Discesi per una delle vie più conosciute della città, passai dinanzi all’Università centrale, al Tribunale, e continuai a discendere la strada. Svoltai in un angolo e mi diressi in una libreria, una di quelle che io ed il Circolo avevamo occupato nel corso dei tre anni passati insieme. Strada facendo avevo mangiato un panino, avevo allungato il tragitto dato che avevo tempo da perdere, ed ora mi ritrovavo al tavolino della libreria che mette anche a disposizione un servizio bar.
Erano le 13:30 ed avrei dovuto aspettare le 14:10 prima che il primo dei due adepti del Circolo arrivasse. L’altro sarebbe arrivato poco dopo. Intanto, studiai, giusto per non rendere improduttivo l’interminabile, silenzioso, monotono, tremendo lasso di tempo.
Giunsero le 14:10, ai miei occhi si presentò una macchia scura.
Pensavo mi fosse venuta la cataratta giovanile. Iniziai a sudare freddo. Poi mi accorsi che era solo quell’essere ammantato di tenebra e disperazione, atipiche per un ragazzo di diciotto anni sano di mente, che si materializzava.
Era il primo compagnone. Alto, con baffi e pizzetto alla Richelieu, munito di espressione da depresso e con fare pacato, tendente allo smorto. Un becchino passò per la strada. Forse una salma gli era scappata. Compresi il detto: “Da qui ci scappa il morto”.
Richelieu darkettone estrasse un libro mastodontico simil-Bibbia, una trilogia riunita in volume unico, e iniziò a leggere, mentre gli parlavo. Io sono un grande lettore, lui pure. La differenza sostanziale risiede nella sua mancanza di interesse per la relazione sociale. Non ci vedevamo, sentivamo, parlavamo da un mese: leggeva.
« Dico… Come te la stai passando all’Università? Ti sta piacendo? Hai conosciuto nuova gente? »
« No. » risposta lapidaria.
A rompere il ghiaccio, giunse il suo bisogno di andare al bagno (anche se ce lo stavo mandando io, con maledizioni annesse) e di prendere un caffè. Ritornò, lo costrinsi a mettere via il libro e poi giunse l’altro compagnone. Alto, capigliatura folta, sorriso gentile, vestito in modo molto atipico per gli standard odierni di “tipo alla moda”. Io apprezzavo quel ragazzo ed il suo modo di vivere. Era naturale nei modi, attivo nel sociale, gentile, sempre pronto a mettersi in gioco. Però non si era mai veramente impegnato negli Echi, a parte qualche encomiabile exploit di grande attività.
« Bene, ora che ci siamo tutti, vorrei parlarvi di una cosa. » feci una pausa.
« Io direi proprio di chiudere il circolo. Non abbiamo fatto nulla in quest’ultimo mese. » disse il ragazzo gentile.
« Era proprio qui che volevo arrivare: non ho più organizzato incontri proprio perché volevo vedere quanto vi importasse. Il Presidente attuale è lui » indicai lo smorto Richelieu darkettone. « Spettava a lui in prima persona occuparsi della nostra organizzazione, come da regolamento. Dunque, dato che ho visto la vostra mancanza di interesse, me ne sono lavato anch’io le mani. Ragazzi, si chiude bottega! Tutti a casa! »
Dopo queste prime battute, il ragazzo gentile parlò, espose amabilmente le sue considerazioni, da me tutte condivise e ripetute anche durante la vita del circolo. Insomma, parlò di cliché e déjà-dit che mi annoiarono. Giusto per riempire il vuoto di considerazioni da fare al riguardo.
Ormai il grosso era stato fatto, mi ero tolto un peso dallo stomaco e potevo tornare a vivere meglio, senza il problema di riunioni a cui nessuno partecipava attivamente. Parlammo ancora, mentre il darkettone Richelieu continuava ad ascoltare, a vivere vegetando anche in quel momento, rinchiuso nella sua scorza dura di apatia totale. A mio modo di vedere, Dracula sarebbe stato un interlocutore più divertente e solare...
no, direi di no.
Scoccarono le 15:30. Adesso dovevo andare a lezione; alle 16:00 avrei incontrato Ivan che, proprio come me, seguiva lo stesso corso pomeridiano. Alla facoltà di Scienze Politiche, sito vicino al piacevole orto botanico, lontano dall’università centrale, lassù, in sperduti recessi cittadini. Se S. Francesco d’Assisi fosse vissuto al giorno d’oggi, avrebbe lasciato il suo eremo per venire a meditare nella nostra facoltà, salvo quando qualcuno manifestasse o una massa di studenti sfilasse per entrare, uscire o fare caciara.
Uscii dalla libreria, iniziai a camminare e ponderare. La mia vita era una continua tensione verso la scrittura, questo mondo d’espressione dalle infinite possibilità. Mi piaceva scrivere di tutto: auliche dissertazioni filosofiche, esperimenti di poesia con versi classici, racconti di ogni genere narrativo, dedicarmi anche a qualche creazione dai temi più cazzoni. Era il mio mondo, e veder crollare il Circolo fu un vero e proprio colpo al cuore. Quella piattaforma di riunione tra scrittori, o presunti tali, era un ottimo modo per conoscere altri tipi di scrittura, nuova gente appassionata di questa forma d’arte, un ottimo punto di partenza per giovani autori.
L’unica soluzione alla nuova mancanza mi era stata concessa qualche giorno prima, dalle idee di un mio amico: perché non aprirti un blog? Mi aveva chiesto. Ci avevo pensato, ed ora la risoluzione sembrava ottima. O forse l’inizio di un nuovo baratro di follia?
To be continued...
Ivan
Esco con dispiacere dalla caffetteria dopo aver pagato il mio pusher e mi preparo psicologicamente al quarto d’ora di passeggiata volta a raggiungere la facoltà. Visto che sono lì, rollo una sigaretta su uno dei tavolini del bar usando il mio fidato Drum bruno.
A causa della fretta durante l’atto della sua creazione, la forma della mia opera d’arte assomiglia in modo sorprendente alla silhouette di una donna al settimo mese della gravidanza…ma che importa? Polvere alla polvere, cenere alla cenere. Dopo un’occhiata poco convinta al frutto del mio impegno seguita da un’imprecazione interiore, mi metto in marcia, pregustando le due ore di lezione di “Psicopatologia del Linguaggio”.
Messina…che città accogliente. Appena sceso dall’aliscafo ti senti come a casa: il pungente odore di piscio di barbone misto a naftalene nei dintorni dell’edificio che ospita il mercato ittico ne sa qualcosa. Gli autisti di questa città sono delle persone deliziose…o che almeno ci provano. Persone che provano a far parte del cambiamento. In qualsiasi altra parte del mondo, la macchina la porti solo se sai guidare; qui al sud, invece, impari guidando. Anche se la tua età cerebrale e il tuo controllo potrebbero perdere colpi di fronte a quelle di un bambino di 9 anni. Concetti stravolti da questo palpabile cambiamento sono ad esempio quelli dei semafori e dei pedoni. Per non parlare dei clacson…oh, i clacson.
Può, dico io, esistere qualcosa che eguagli il piacere fisico e spirituale provocato dall’ascolto di quella sinfonia, quella grandiosa orchestra diretta nientemeno che da una volontà superiore a noi mortali e che contagia chiunque abbia un segnalatore acustico a portata di braccio? Bella domanda, dico io.
Quando raggiungo questo piacere dico anche altro, io.
Ci siamo capiti.
Mi godo la scena degli automobilisti che parlano il vero linguaggio universale utilizzando gesti e parti del corpo per farsi capire meglio…tutte immagini percepite a rallentatore dal mio cervello per l’effetto misto di dopamina, caffeina e tante altre belle sostanze.
"LEVATI, O QUANT'È VERO IL SIGNORE TI FICCO QUESTO PUGNO SU PER QUEL FLACCIDO CULO!"
Mancava ancora qualche minuto alla destinazione quando sentii il cellulare riprodurre la versione di Jailhouse Rock dei Blues Brothers vibrando dalla tasca dei jeans. Tiro fuori il telefonino e guardo il display: Maria. Premo il tasto per accettare la chiamata mentre proseguo sul marciapiede.
« Ehy, Maria. »
« Dove sei? Io sono qui con Marco, se vuoi ci vediam-»
« Tranquilli, ormai sono quasi arrivato. Ah, Maria… »
« Che c’è? »
« Poi devo chiedervi una cosa. »
Attacco senza salutare e continuo a camminare. Taglio passando da Villa Mazzini e, finalmente, arrivo in facoltà. Nella mia testa l’immagine dei manichini all’ingresso del parco fatica ad andarsene. Erano vestiti come dei rappresentanti di un Gay Pride che avevano approfittato degli sconti al negozio Ovviesse.
Arte moderna.
Antonino
Dopo due ore, uscii dalle aule della facoltà.
Erano le 13:00.
Discesi per una delle vie più conosciute della città, passai dinanzi all’Università centrale, al Tribunale, e continuai a discendere la strada. Svoltai in un angolo e mi diressi in una libreria, una di quelle che io ed il Circolo avevamo occupato nel corso dei tre anni passati insieme. Strada facendo avevo mangiato un panino, avevo allungato il tragitto dato che avevo tempo da perdere, ed ora mi ritrovavo al tavolino della libreria che mette anche a disposizione un servizio bar.
Erano le 13:30 ed avrei dovuto aspettare le 14:10 prima che il primo dei due adepti del Circolo arrivasse. L’altro sarebbe arrivato poco dopo. Intanto, studiai, giusto per non rendere improduttivo l’interminabile, silenzioso, monotono, tremendo lasso di tempo.
Giunsero le 14:10, ai miei occhi si presentò una macchia scura.
Pensavo mi fosse venuta la cataratta giovanile. Iniziai a sudare freddo. Poi mi accorsi che era solo quell’essere ammantato di tenebra e disperazione, atipiche per un ragazzo di diciotto anni sano di mente, che si materializzava.
Era il primo compagnone. Alto, con baffi e pizzetto alla Richelieu, munito di espressione da depresso e con fare pacato, tendente allo smorto. Un becchino passò per la strada. Forse una salma gli era scappata. Compresi il detto: “Da qui ci scappa il morto”.
Richelieu darkettone estrasse un libro mastodontico simil-Bibbia, una trilogia riunita in volume unico, e iniziò a leggere, mentre gli parlavo. Io sono un grande lettore, lui pure. La differenza sostanziale risiede nella sua mancanza di interesse per la relazione sociale. Non ci vedevamo, sentivamo, parlavamo da un mese: leggeva.
« Dico… Come te la stai passando all’Università? Ti sta piacendo? Hai conosciuto nuova gente? »
« No. » risposta lapidaria.
A rompere il ghiaccio, giunse il suo bisogno di andare al bagno (anche se ce lo stavo mandando io, con maledizioni annesse) e di prendere un caffè. Ritornò, lo costrinsi a mettere via il libro e poi giunse l’altro compagnone. Alto, capigliatura folta, sorriso gentile, vestito in modo molto atipico per gli standard odierni di “tipo alla moda”. Io apprezzavo quel ragazzo ed il suo modo di vivere. Era naturale nei modi, attivo nel sociale, gentile, sempre pronto a mettersi in gioco. Però non si era mai veramente impegnato negli Echi, a parte qualche encomiabile exploit di grande attività.
« Bene, ora che ci siamo tutti, vorrei parlarvi di una cosa. » feci una pausa.
« Io direi proprio di chiudere il circolo. Non abbiamo fatto nulla in quest’ultimo mese. » disse il ragazzo gentile.
« Era proprio qui che volevo arrivare: non ho più organizzato incontri proprio perché volevo vedere quanto vi importasse. Il Presidente attuale è lui » indicai lo smorto Richelieu darkettone. « Spettava a lui in prima persona occuparsi della nostra organizzazione, come da regolamento. Dunque, dato che ho visto la vostra mancanza di interesse, me ne sono lavato anch’io le mani. Ragazzi, si chiude bottega! Tutti a casa! »
Dopo queste prime battute, il ragazzo gentile parlò, espose amabilmente le sue considerazioni, da me tutte condivise e ripetute anche durante la vita del circolo. Insomma, parlò di cliché e déjà-dit che mi annoiarono. Giusto per riempire il vuoto di considerazioni da fare al riguardo.
Ormai il grosso era stato fatto, mi ero tolto un peso dallo stomaco e potevo tornare a vivere meglio, senza il problema di riunioni a cui nessuno partecipava attivamente. Parlammo ancora, mentre il darkettone Richelieu continuava ad ascoltare, a vivere vegetando anche in quel momento, rinchiuso nella sua scorza dura di apatia totale. A mio modo di vedere, Dracula sarebbe stato un interlocutore più divertente e solare...
no, direi di no.
Scoccarono le 15:30. Adesso dovevo andare a lezione; alle 16:00 avrei incontrato Ivan che, proprio come me, seguiva lo stesso corso pomeridiano. Alla facoltà di Scienze Politiche, sito vicino al piacevole orto botanico, lontano dall’università centrale, lassù, in sperduti recessi cittadini. Se S. Francesco d’Assisi fosse vissuto al giorno d’oggi, avrebbe lasciato il suo eremo per venire a meditare nella nostra facoltà, salvo quando qualcuno manifestasse o una massa di studenti sfilasse per entrare, uscire o fare caciara.
Uscii dalla libreria, iniziai a camminare e ponderare. La mia vita era una continua tensione verso la scrittura, questo mondo d’espressione dalle infinite possibilità. Mi piaceva scrivere di tutto: auliche dissertazioni filosofiche, esperimenti di poesia con versi classici, racconti di ogni genere narrativo, dedicarmi anche a qualche creazione dai temi più cazzoni. Era il mio mondo, e veder crollare il Circolo fu un vero e proprio colpo al cuore. Quella piattaforma di riunione tra scrittori, o presunti tali, era un ottimo modo per conoscere altri tipi di scrittura, nuova gente appassionata di questa forma d’arte, un ottimo punto di partenza per giovani autori.
L’unica soluzione alla nuova mancanza mi era stata concessa qualche giorno prima, dalle idee di un mio amico: perché non aprirti un blog? Mi aveva chiesto. Ci avevo pensato, ed ora la risoluzione sembrava ottima. O forse l’inizio di un nuovo baratro di follia?
To be continued...

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