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martedì 5 novembre 2013

Un verso tira l'altro





Mentre un giorno passavo contento
In un bosco nell’ora più fresca,
su un ciliegio gli splendidi frutti
rilucevano di tinte vermiglie
o giallastre (quando erano acerbe).

Decisi di salire su quel tronco
Sospinto solamente dalla voglia
Di giungere a quel ramo superiore
Su cui splendeva tiepido il pio sole.
Lassù quei rossi frutti erano splendidi:
la vista era appagata dai colori
che mai furono scorti dai miei occhi,
fino a quel giorno almeno. E, in tanta amena
altezza del gran fusto, mi gloriavo
più del percorso fatto che di meta
che avrei presto raggiunto e ben gustato.

E presi i rubini polposi;
Li spinsi alla bocca impaziente
Che presto raggiunse del frutto
Persino quel nocciolo duro;
Non fui tanto sazio, pertanto
Non meno di cento ne colsi:
Non solo di versi, ma pure
Di frutta divenni indigesto.

E se oggi racconto la storia che occorse,
lo devo alle muse ed al caro ciliegio.
Miei cari lettori che amate le usanze
Dei greci che usavano ornare i poeti
Con rami di alloro a formare corone,
non siate severi nel darmi un giudizio
sul fatto che io dica che questo alberello
sia adatto a descrivere il vero piacere
di scrivere versi e saziarsene ancora;
ché come ciliegie succose e invitanti,
dei versi gloriosi, severi o inebrianti
richiamano gli altri con lettere e suoni,
raggiungono il nocciolo di ogni questione.

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