Mentre un
giorno passavo contento
In un bosco
nell’ora più fresca,
su un
ciliegio gli splendidi frutti
rilucevano
di tinte vermiglie
o giallastre
(quando erano acerbe).
Decisi di
salire su quel tronco
Sospinto solamente
dalla voglia
Di giungere
a quel ramo superiore
Su cui
splendeva tiepido il pio sole.
Lassù quei
rossi frutti erano splendidi:
la vista era
appagata dai colori
che mai
furono scorti dai miei occhi,
fino a quel
giorno almeno. E, in tanta amena
altezza del
gran fusto, mi gloriavo
più del
percorso fatto che di meta
che avrei
presto raggiunto e ben gustato.
E presi i
rubini polposi;
Li spinsi
alla bocca impaziente
Che presto
raggiunse del frutto
Persino quel
nocciolo duro;
Non fui
tanto sazio, pertanto
Non meno di
cento ne colsi:
Non solo di
versi, ma pure
Di frutta
divenni indigesto.
E se oggi
racconto la storia che occorse,
lo devo alle
muse ed al caro ciliegio.
Miei cari
lettori che amate le usanze
Dei greci
che usavano ornare i poeti
Con rami di
alloro a formare corone,
non siate
severi nel darmi un giudizio
sul fatto
che io dica che questo alberello
sia adatto a
descrivere il vero piacere
di scrivere
versi e saziarsene ancora;
ché come
ciliegie succose e invitanti,
dei versi
gloriosi, severi o inebrianti
richiamano
gli altri con lettere e suoni,
raggiungono
il nocciolo di ogni questione.